lunedì 6 marzo 2017

Colangelo: "Mandato in pensione dopo l'avvio dell'inchiesta Consip. E i dubbi sono legittimi"

06/03/2017 - Lo sapete chi è Giovanni Colangelo? È un procuratore di Napoli che il 17 febbraio scorso, è andato in pensione. Niente di strano, direte voi, dato che in media ogni anno 70 magistrati lasciano la toga. Ma la questione del suo pensionamento è un po’ diversa dalle altre, perché ci è andato nel pieno dell’inchiesta che fa tremare il giglio magico. Sarà solo una coincidenza? Sembrerebbe proprio di no, dalle sue dichiarazioni rilasciate a Repubblica. “Sono sereno, ma anche un po’ rammaricato. Ovviamente nessuno è indispensabile, però mi sarebbe piaciuto portare a compimento progetti che stavano dando buoni risultati” ha dichiarato in questi giorni. Dichiarazioni che sottolineano la sua volontà di continuare a prestare servizio per la giustizia italiana. Inoltre, il 14 febbraio, ovvero 3 giorni prima del pensionamento di Colangelo, al Senato due parlamentari del Partito Democratico sono stati sostituiti in Commissione Giustizia. 

E sapete perché? Per impedire che votassero un emendamento che avrebbe esteso la proroga e avrebbe potuto lasciare in servizio il magistrato. Ma nessuno ha spiegato il perché della mancata estensione della proroga. 

Quell’uscita di scena è sembrata quasi ad personam. E brucia ancora. Giovanni Colangelo, procuratore di Napoli fino al 17 febbraio scorso, è andato in pensione nel pieno dell’inchiesta che fa tremare il giglio magico. Un addio arrivato inesorabile:nonostante l’impegno istituzionale a mantenere in servizio, almeno fino alla fine dell’anno, i capi degli uffici minori. Mentre ai vertici della Cassazione era stata concessa una proroga.

 L’intervista 

 Dottor Colangelo, ora davvero c’è chi pensa che lei sia stato mandato a casa per aver indagato sul potere renziano. 
«Cosa dire? Capisco la domanda, non la deve rivolgere a me…». 

 Però il dubbio esiste e aleggia in tanti uffici giudiziari. 
«Interrogativo legittimo e interessante. Dico solo che la risposta va forse cercata altrove». 

 Però il diniego alla proroga, inizialmente promessa dal governo, è stato duplice: c’è stata prima la bocciatura istituzionale, poi addirittura quella politica del Pd, quando in commissione Giustizia sono stati sostituiti i due esponenti dem che volevano sostenere l’emendamento a suo favore . 
«In effetti, io stesso ho appreso dai giornali quello che era accaduto in commissione. Credo che la sostituzione dei parlamentari, il giorno prima, sia un unicum, senza precedenti». 

 Un finale di carriera, dopo tante inchieste e successi, che lascia l’amaro in bocca? 
«Non voglio essere vittimista. No: dico che oggettivamente è stato un danno creato per alcuni uffici, e non solo a Napoli, dove ho avuto il privilegio di aver condotto una Procura importante, molto esposta su camorra, corruzione, pubblica amministrazione. E dove ho trovato tanti colleghi bravi. Me ne vado con orgoglio. Forse, un velo di amarezza per le cose che volevo chiudere». 

 Come l’impegno sui minori a rischio? 
«Esatto: un fronte a cui, con i miei aggiunti e con la Procura per i minori stavamo lavorando bene. Poi, mica si chiedevano due anni di proroga? Bastavano quei dieci mesi che a me non cambiavano la vita, ma forse servivano all’organizzazione». 

 Non se lo spiega neanche lei. 
«Qui mi rifaccio integralmente alle parole di Davigo: c’è stato un trattamento differenziato tra magistrati e magistrati. Che ha prodotto un danno per alcuni uffici giudiziari». 

 Fa riflettere il dato che il 5 dicembre Renzi senior viene intercettato, e il 7 un autista avverte Russo che non deve più chiamare Babbo. 
«Non voglio aggiungere nulla. La sequenza di date è corretta».

 Avete avuto materiale incandescente in mano mentre infiammava il duello sul referendum. 
«Sì. Già da novembre, la sensibilità della materia era molto chiara, come i personaggi su cui svolgere accertamenti. Feci una riunione per dire: rigore assoluto perché siamo in campagna pre-referendum e non si può assolutamente rischiare di interferire. Napoli ha fatto come sempre il suo dovere, con grande senso di responsabilità». - FONTE

domenica 5 marzo 2017

IL GENERALONE SALTALAMACCHIA ERA “A DISPOSIZIONE” DELLA BANDA RENZI: ECCO COSA DICEVA AL PAPARINO DI RENZI

05/03/2017 - Tra i filoni più riservati e sensibili dell’ inchiesta Consip ce n’ è uno che conduce a Rignano sull’ Arno. E più precisamente in frazione Torri, dove la famiglia Renzi ha una grande casa che i genitori dell’ ex premier hanno venduto come nuda proprietà ai quattro figli nel 2012. In questo edificio all’ incrocio di due strade bianche, i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) hanno piazzato le microspie e si sono messi per giorni in appostamento dentro al bosco per ascoltare le conversazioni provenienti dall’ interno dell’ immobile.
Giacomo Amadori per “la Verità
Mentre l’ ex premier Matteo preparava il referendum, alcuni suoi collaboratori e familiari venivano ascoltati e registrati dai detective, nascosti fra le piante. Probabilmente le cimici hanno captato anche la voce del Rottamatore, che non di rado la domenica fa visita ai genitori. Venerdì 3 marzo 2016 i pm Mario Palazzi e Henry John Woodcock, presso il comando provinciale dei carabinieri di Firenze, hanno torchiato due testimoni con numerose domande riguardanti una cena considerata di grande rilevanza investigativa.
Una «braciata» (grigliata in gergo toscano, ndr) che si è svolta nell’ ìottobre scorso nella dimora di frazione Torri, con Tiziano Renzi a fare da Trimalcione e a rosolare la carne sul barbecue del giardino. Mancavano pochi giorni all’edizione 2016 della Leopolda (4-5-6 novembre) e le cimici piazzate dai carabinieri vicino alla brace captarono i discorsi della combriccola che si spostava dalla sala da pranzo all’esterno, dove sfrigolavano le braciole.
La tavolata era composta da una decina di invitati: c’ erano Tiziano Renzi; il genero Andrea Conticini (indagato a Firenze per riciclaggio); il sindaco di Rignano, Daniele Lorenzini; l’ex assessore della giunta Renzi, Massimo Mattei, e il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana (indagato a Roma per favoreggiamento e violazione del segreto investigativo nell’ inchiesta Consip). Gli invitati erano tutti accompagnati dalle rispettive consorti.
Durante la serata si parlò anche di inchieste giudiziarie e delle varie disavventure con la giustizia vissute da ciascuno dei presenti. Tiziano si lamentò dei 2 anni e mezzo di indagini a cui era stato sottoposto dai pm di Genova, prima di essere archiviato. Nella partita a poker con i testimoni, proprio come nei film, gli inquirenti hanno riportato una frase che Saltalamacchia avrebbe pronunciato tra una portata e l’altra.
Più precisamente un consiglio che avrebbe dato a Tiziano: «Non parlare con Alfredo Romeo». Per chi indaga, il generale avrebbe raggiunto le colline rignanesi per portare la delicata ambasciata e mangiare un po’ di carne alla griglia in compagnia. Senza immaginare che quella sera, dentro al bosco, ci fosse ad ascoltarlo un convitato di pietra con la divisa del suo stesso colore. I pm, dopo aver convocato alcuni dei partecipanti a quella crapula, hanno chiesto conto del presunto audio di Saltalamacchia, senza però farlo ascoltare. A uno dei personaggi convocati in caserma è stata esibita la trascrizione di un discorso intercettato dalle microspie in quell’ occasione conviviale. Che il testimone ha riconosciuto come avvenuto.
Secondo le nostre fonti, gli investigatori avrebbero chiesto al sindaco Lorenzini di confermare quanto pubblicato dalla Verità il 6 novembre scorso sugli incontri carbonari che Renzi senior avrebbe tenuto nel bosco con i suoi interlocutori, a proposito dell’ inchiesta di Napoli. Il babbo più famoso d’Italia chiama a rapporto e si confida con gli uomini a lui più vicini, dall’assessore-sassofonista Roberto «Billy» Bargilli al sindaco Lorenzini.
Passeggiate che il signor Tiziano pensava di fare lontano da orecchie indiscrete e che invece avvenivano sotto lo sguardo vigile dei militari del Noe. La boscaglia in quel periodo era più trafficata del centro di Firenze. Allora come oggi, gli investigatori collegano l’ ansia dell’ illustre genitore alla cena con Saltalamacchia di fine ottobre.
Un crescendo di paura che ha raggiunto l’ apice il 7 dicembre 2016. Quel giorno Bargilli (che si presenta come «l’ autista del camper di Matteo») telefona all’ apprendista faccendiere Carlo Russo e lo mette in guardia: «Scusami ti telefonavo per conto di babbo mi ha detto di dirti di non chiamarlo e non mandargli messaggi». Da due giorni Tiziano era sotto intercettazione e, dopo un rocambolesco viaggio a Fiumicino, fece arrivare questo messaggio a Russo, che però era intercettato a sua volta.
Ma chi ha svelato in tempo reale al padre dell’ ex premier che le sue utenze erano sotto controllo? I magistrati sospettano di un personaggio misterioso incontrato da babbo Renzi all’ aeroporto di Roma. Nel mirino degli inquirenti c’ è, però, anche l’ indagato Saltalamacchia, citato in un verbale anche dall’ amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni: «Con il generale Saltalamacchia intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso l’ informazione la ricevetti prima dell’ estate 2016.
Ho incontrato Saltalamacchia di recente, una domenica durante una passeggiata organizzata con le nostre signore () In disparte, in quell’ occasione, ho chiesto al Saltalamacchia se il mio cellulare fosse ancora sotto controllo, ma lui mi disse che non aveva avuto aggiornamenti e quindi la cosa per me finì lì». Non per gli inquirenti, che ipotizzano che il generale sia uno dei propalatori delle fughe di notizie.

Redditi dei ministri: prima Valeria Fedeli, ultimo Maurizio Martina. Sorpresa Padoan: meno di 50mila euro

05/03/2017 - Toh, che sorpresa. La ministra più ricca d'Italia? Valeria Fedeli, la ministra senza laurea, la "compagna" ex Cgil titolare dell'Istruzione, la donna con la rossissima chioma che tanto ha fatto parlare di lei da che è "ascesa" al governo. Nella dichiarazione dei redditi per l'anno 2016, infatti, risulta un imponibile di 180.921 euro. È quanto emerge dalla pubblicazione sul sito parlamento.it delle dichiarazioni patrimoniali dei senatori e dei deputati della XVII Legislatura. Fanalino di coda della classifica? Maurizio Martina, con 46750 euro. 

 Dunque, la classifica. Dietro alla Fedeli, il vuoto. Il primo a sbucare è il ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, con 148.692 euro. Al terzo posto la ministra dei Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, con un reddito imponibile di 144.853 euro. Quindi Enrico Costa, ministro per gli Affari regionali, con 112.034 euro, il premier Paolo Gentiloni con 109.607, il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, con 104.473 euro, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con 104.432 euro, il ministro degli esteri, Angelino Alfano, con 102.300 euro, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, con 102.058 euro, la ministra della P.A., Marianna Madia, con 98.816 Euro. Stesso reddito per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il ministro dello Sport, Luca Lotti, con 98.471 euro. 

 Il ministro della Coesione territoriale, Claudio De Vincenti, ha un reddito imponibile di 97.728 euro, dietro di lui Gian Luca Galletti - l'anno scorso il più ricco del governo Renzi - con 97.631 euro, la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, con 97.576 euro, la ministra della difesa, Roberta Pinotti, con 96.663 euro, la sottosegretaria alla presidenza del consiglio Maria Elena Boschi con 96.571 euro, il ministro dell'interno, Marco Minniti, con 92.237. In coda, a sosrpresa, c'è anche il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, passato dai 216 mila euro dell'esordio con il governo Renzi ai 49.958 euro dichiarati nel 2016, e il ministro dell'Agricoltura, Maurizio Martina, che come detto ha un imponibile di 46.750 euro. 

 Una curiosità: nel 2016 scende in modo clamoroso il reddito imponibile di Beppe Grillo, passato dai 355.247 euro per il 2015 (quando vendette, fra l'altro, l'appartamento di Lugano in Svizzera) ai 71.957 euro nel 2016. Reddito quasi senza variazioni da un anno all'altro invece per l'ex premier ed ex segretario Pd Matteo Renzi: nel 2015 dichiarava 107.960 euro mentre nel 2016 il reddito imponibile è stato di 103.283 Euro. -  FONTE

Assenza di controlli, Vergognoso, la denuncia dell'Ex Parlamentare di Acerra

04/03/2017 - Nel napoletano sei banditi costringono la moglie dell'ex parlamentare a svuotare la cassaforte, la reazione: "Totale mancanza di controlli, qui non ci sentiamo al sicuro"

Rapina nella villa dell'ex parlamentare: sei banditi armati di mazze e coltelli hanno preso d'assalto l'abitazione dell’ex deputato e costringono la moglie a consegnar loro soldi e gioielli. È accaduto ad Acerra, in provincia di Napoli nell’abitazione dell’ex parlamentare del Pds Michele Giardiello che ha denunciato l’episodio invocando una presa di coscienza forte sul tema della sicurezza nell’interland napoletano. 

 I fatti si sono registrati nella giornata di ieri quando il commando si è introdotto nell’abitazione forzando un pesante cancello e passando dal garage. I sei, presentatisi al cospetto della donna, sola in casa al momento della rapina, sotto la minaccia delle armi le hanno imposto di svuotare la cassaforte e di consegnare a loro i soldi e gioielli contenuti. La signora non ha potuto fare altro che eseguire gli ordini dei banditi. I criminali sono rimasti in casa per più di mezz’ora alla ricerca di preziosi e denaro da razziare. L'incubo della donna è finito al ritorno a casa del figlio della coppia, “intercettato” dai due “pali” lasciati a sorvegliare la zona, che ha indotto i malviventi alla fuga. 

 L’ex parlamentare ha denunciato pubblicamente l’accaduto. Come riporta Repubblica di Napoli, Giardiello (esponente storico locale prima del Pci e poi del Pds e dell'Ulivo, nelle cui fila è stato eletto alla Camera dei Deputati nel 1994 prima e nel 1996 poi) s’è rivolto direttamente al governo: “E’ una cosa vergognosa, ho fatto presente l’accaduto al Ministero dell’Interno e ho denunciato la totale mancanza di sicurezza e di controlli sul nostro territorio. Qui si assiste a continue rapine ai danni di pensionati, furti in casa e scippi: non ci sentiamo al sicuro”.

Laura Boldrini a Pescina, polizia e carabinieri costretti a “nascondersi”. Il sindacato....

Non voleva la polizia intorno Laura Boldrini a Pescina, in provincia de l'Aquila. A denunciarlo è il Siulp, sindacato di polizia che spiega che in quella occasione era stato predisposto il servizio di ordine pubblico che prevedeva "l'impiego di una consistente aliquota di personale in divisa e in abiti civili composta dal dirigente del servizio, 7 poliziotti, 5 carabinieri, il settore anticrimine del Commissariato di Avezzano e la Digos". 

A denunciare l’ ordine di servizio è stato Fabio Lauri, Segretario Provinciale del Siulp (Sindacato unitario lavoratori di polizia) de L’Aquila con una lettera indirizzata al Questore del capoluogo abruzzese, Alfonso Terribile, che Tiscali.it, in un articolo a firma di Luca Marco Comellini, è in grado di pubblicare.
È stata utilizzata
«una consistente aliquota di personale in divisa e in abiti civili composta dal dirigente del servizio, 7 poliziotti, 5 carabinieri, il Settore Anticrimine del Commissariato di Avezzano e la Digos» scrive Lauri nella sua lettera: «Poliziotti e Carabinieri, con relativi mezzi di trasporto, con estremo imbarazzo sono stati costretti a nascondersi nei più remoti meandri del paese (una volante dietro un fienile, la gazzella dei Carabinieri sotto un ponte, etc. etc..), con miserabile stupore dei cittadini che hanno assistito increduli al pietoso e quanto mai originale fenomeno dell’occultamento degli uomini delle ISTITUZIONI».
Per il Segretario provinciale del Siulp i suoi colleghi
«sono stati costretti ad un deprimente “nascondino”. Giunti al ristorante, mentre la personalità (n.d.r. Laura Boldrini) entrava assieme ad altre persone che avevano partecipato al meeting, un’ accompagnatrice del presidente della Camera dei Deputati, presumibilmente un funzionario di Polizia, “suggeriva” al Dirigente del servizio di non far avvicinare poliziotti al ristorante in quanto, tale presenza, avrebbe potuto urtare la suscettibilità; la stessa donna, secondo quanto riferito anche dai colleghi che hanno assistito alla “dispensa” di cotali “consigli”, concludeva dicendo: “Per adesso è andato tutto bene, non creiamo problemi con la nostra presenza”». «Qualcuno dei poliziotti presenti, con educazione e con quel senso dello STATO che ci contraddistingue, – ha proseguito Lauri – faceva osservare che la presenza della Polizia, semmai, poteva soltanto nobilitare tale contesto e non certo creare problemi o imbarazzo, soprattutto non poteva crearne alla terza carica di questo stesso STATO!».

Nel proseguire la sua lettera il sindacalista del Siulp ha ricordato al Questore che
 «La dignità umana e professionale del poliziotto è frutto di lunghi e travagliati anni di sacrifici pagati a caro prezzo da coloro che ci hanno preceduto, in termini di libertà personale, di vita e di carriera e che l’attuale Presidente della Camera dei Deputati risulta beneficiare della “scorta più imponente d’Europa” al prezzo, per il cittadino, di un milione e centomila euro l’anno che vanta una consistenza numerica prossima all’intero organico di un Commissariato come quello di Avezzano».

Lauri ha quindi concluso la sua nota avvertendo il Questore che:
 «in concomitanza di future visite “istituzionali” della Presidente della Camera dei Deputati, valuterà di promuovere una manifestazione volta ad evidenziare la professionalità, il decoro, il prestigio ed il valore aggiunto che la POLIZIA di STATO, assieme alle altre forze dell’ordine, attribuisce ogni giorno alla nostra ITALIA.».   Fonte

sabato 4 marzo 2017

Alfano va come un treno: i cugini scalano le Ferrovie, i parenti non finiscono mai Dopo il fratello, spuntano i cugini

04/03/2017 - Non solo Alessandro alle Poste. Ecco la saga di Giuseppe e Antonio Sciumè. E poi c'è il renziano... I parenti di Angelino Alfano non finiscono mai, dopo il fratello alle Poste, i cugini alle Ferrovie. E davvero non c'è niente di male ad avere familiari sparsi un po' ovunque, nei posti che contano e che danno diritto a sfolgoranti carriere con relativi stipendi. Si tratta, evidentemente, di fortunate coincidenze che nulla hanno a che vedere col ruolo pubblico del potente ministro. Non solo Alessandro, dunque, ecco gli altri.

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 Dopo il fratello, i cugini Della famiglia di Alfano, torna oggi a occuparsi il 'Fatto Quotidiano' con una pagina di Daniele Martini. "E poi dicono che i partiti non contano più nulla - si legge -. Alle Fs quando c'è da mettere il turbo alla carriera di qualcuno fidato, i partiti contano eccome. Ecco due storie esemplari: la sagra siciliana dei fratelli Sciumè, cugini del ministro degli Esteri Angelino Alfano, e il volo del renziano Carmine Zappacosta". Tralasciando per un attimo Zappacosta, chi sono gli 'illustri' cugini? Una saga di famiglia "Nelle Fs siciliane - scrive il 'Fatto' - la saga degli Sciumè è la dimostrazione che la famiglia Alfano le aziende di Stato le ha nel sangue. Non solo le Poste dove il fratello del ministro, Alessandro, fu assunto nel 2013 dopo un frettoloso esame del curriculum su Linkedin e dove ora riceve uno stipendio di duecentomila euro (...).

Alle Fs l'influenza di Alfano si manifesta anche attraverso un signore legatissmo alla Cisl locale, Carmelo Rogolino, considerato da quelle parti più che fedele agli Alfano, quasi uno di famiglia. Rogolino affianca i due Sciumè. A Messina c'è Giuseppe Sciumè, ingegnere, che alle Fs era stato assunto come assistente di Dario Lo Bosco, presidente di Rfi-Rete ferroviaria italiana fino all'autunno del 2015, quando dovette dimettersi dopo che lo avevano arrestato per una storia di appalti ferroviari e corruzione. Sciumè ora è amministratore di Bluferries, la società navale delle Fs per i traghetti tra Reggio Calabria e Messina, mentre Rogolino dirige invece la navigazione targata Rfi: in pratica tutto il movimento di passeggeri auto e camion sullo Stretto, in concorrenza con i privati di Caronte & Tourist, è in mano alla famiglia Alfano".

 "A Palermo, Rogolino è direttore territoriale delle Fs, mentre Antonio Sciumè, dopo una raffica di promozioni, è diventato capo del settore armamento e quindi deve occuparsi della manutenzione e degli investimenti sui binari", scrive 'Il Fatto'. Con Matteo nel cuore.... L'articolo descrive, dunque, anche "il volo del renziano Carmine Zappacosta, compiuto in scioltezza, con la bandiera del Pd in mano e Renzi nel cuore. La storia di quest'ultimo sembra una favola, quattro anni fa era un precario, ora è l'amministratore delegato di Italcertifer, azienda Fs di piccole dimensioni, ma di notevole importanza (...). Fino alla nomina, Zappacosta era anche un politico responsabile dei trasporti del Pd toscano in quota Renzi ed esponente della segreteria regionale (...). Parlando con Il Fatto, Zappacosta esclude tassativamente che tra la sua fulminante carriera e la politica possa esserci una qualche relazione, rimanda al suo curriculum di ingegnere e dice di essere stato scelto in una rosa di 72. Tutti sanno, però, che nelle nomine Fs i partiti di destra, sinistra e centro hanno sempre messo becco, sia quando amministratore era Mauro Moretti, sia ora che c'è un suo emulo, il renzianissimo Renato Mazzoncini". - FONTE

giovedì 2 marzo 2017

Puglia Boom di iscritti, immigrati in coda per avere la tessera del PD. Record ad Enna, 4000 tesserati su 28 mila abitanti

03/03/2017 - Prosegue senza sosta la guerra delle tessere nel Pd. Una guerra scoppiata dopo il video di Repubblica che mostra una presunta compravendita a Napoli. E da qui sono partite accuse incrociate tra i dem in cui sono posti su due fazioni opposte i renziani che hanno gestito di fatto il partito negli ultimi anni e gli avversari di Renzi al Congresso tra cui anche lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando che ha affermato a Omnibus: "Se in alcune realtà non saranno chiarite le dinamiche del tesseramento non presenterò lì le liste: non voglio voti che non so da dove vengono". Ma dopo il caso Napoli ad accendere la faida dem è anche la Puglia. Infatti da qualche giorno risulta, come riporta Repubblica, un tesseramento copioso proprio nella terra di Michele Emiliano candidato alla segreteria. I numeri parlano chiaro, lo scorso anno le tessere erano 27mila, adesso sono arrivate a 34 mila, circa 7 mila in più nelle ultime 48 ore. Ed è stata registrata anche la presenza pure di alcuni immigrati in fila per aderire al Pd dalle parti di San Severo, in provincia di Foggia. 

Da non sottovalutare nemmeno il caso di Bari città dove le tessere sono cresciute di 1000 unità passando da 2000 a 3000 in pochi giorni. Sempre Repubblica parla anche di alcune tessere fotocopiate e non autenticate che sarebbero in giro in alcuni circoli pugliesi. E sempre dalle parti di Emiliano sarebbe scoppiata la bufera per alcuni tesseramenti a cui hanno aderito diversi immigrati come ha denunciato l'eurodeputata dem, Elena Gentile che ha puntato il dito accusando i dem pugliesi di aver tesserato 150 immigrati che sono stati avvistati in fila nelle ultime ore. E su questo fronte è arrivata la smentita dei dem locali che parlano di 11 immigrati, regolari. Occhio anche alle tessere in Sicilia. La roccaforte è Enna dove un tesoretto di 4000 tessere fa gola sia ai renziani che agli esponenti della sinistra dem. Mirello Crisafulli è il king maker delle tessere ennesi, ma è dato in uscita dal Pd. E anche lì sarà lotta aspra nel partito per mettere le mani su queste tessere. 


 Caos sul tesseramento di Caserta Ma ad agitare le acque dem sono anche i tesseramenti di Caserta. Un altro fronte che si è aperto in questa guerra a colpi di veleni dentro il Pd. L'accusa arriva direttamente da 10 iscritti al Pd con un documento: "Il tesseramento al Pd del Circolo di Caserta si è concluso con gravi irregolarità rispetto alle norme previste dai regolamenti provinciale e nazionale". Carlo Scatozza, Giovanna Abbate e Pietro Canzano hanno inoltrato un ricorso alle Commissioni di garanzia per il tesseramento provinciale, regionale e nazionale. 

Poi spiegano cosa è successo durante il tesseramento: "Nella serata di martedì 28, alle ore 20,15 ,in sede di riunione conclusiva dell’Ufficio Adesioni del Circolo, veniva comunicato dal Segretario Enrico Tresca il numero complessivo delle iscrizioni al Partito Democratico realizzate. Tale numero, 748, era maggiorato di 188 unità rispetto a quelle risultanti alla chiusura dell’ultima giornata prevista dal calendario del tesseramento, e cioè lunedì 27 , alle ore 19.30 alla presenza di tutti i componenti della commissione ,vale a dire 559". "Nella stessa serata - continuano - veniva inoltre data informazione dal Segretario di una richiesta avanzata da parte di alcuni componenti istituzionali a lui pervenuta il giorno 27, di organizzazione di una ulteriore giornata di tesseramento. 

Tale richiesta, presentata ai componenti a conclusione del giorno 28, non poteva più essere accolta e organizzata, pubblicizzandola come da regolamento, per consentire ulteriori regolari iscrizioni. In aggiunta il segretario comunicava di avere fatto da solo 189 iscritti senza rendere noto alla Commissione i nominativi degli stessi, gli estremi identificativi, nonchè le quote di adesione" - FONTE